Cronaca tragicomica dell'incubo di un violoncellista

La Paura, argomento della settimana, e la Musica, ovvero ciò che facciamo noi tutti insieme quando siamo nella possibilità di incontrarci, sono il binomio perfetto che accomunano alcuni dei miei sogni più bizzarri e di qui, l'idea di raccontarne uno a voi, miei cari amici Fuoritempo.

Sudore

Ormai è estate. Torino come ogni fine giugno è soffocata dalla morsa del caldo e dell'umido. Talmente umido che il sudore non riesce ad evaporare dalla pelle e si finisce per rimanere coperti da quel fastidioso, appiccicaticcio velo d'acqua salata, praticamente una lucida pellicola trasparente quasi inodore. Non vi è tregua nemmeno di notte e sperare in un po' di venticello è praticamente inutile. Tanto, qui a Torino l'aria non si muove mai. E se si muove qualcosa, è perché cambia il tempo. Ma ovviamente non succede in questi frangenti. La città rimane comunque viva e pulsante anche se sofferente. Come sempre lo sferragliare ciclico dei tram sui binari accompagna le mie giornate. La maggior parte degli studenti universitari sono in piena sessione d'esame e cercano rifugio nelle aule dotate di quella piacevole diavoleria chiamata aria condizionata.
Altri invece rimangono a casa. Nelle loro stanzine, con le tapparelle abbassate sperando di non far entrare troppo caldo. Fra questi di sicuro ci sono quelli che studiano musica ed io non sono da meno.
Ho studiato parecchio oggi. A breve suonerò la Seconda di Beethoven col nostro magico direttore Sebastiano e non voglio certo arrivare impreparato alle prove. Nonostante l'esame di meccanica strutturale che incombe tra meno di una settimana, ho preferito dedicarmi al violoncello un po' più del solito. Ma dopo tutto il giorno non mi basta. Ho ancora una voglia matta di provare l'inizio del "Larghetto", dove i violoncelli sembrano cantare. Decido di suonare ancora un po' finita la cena. 
Nonostante l'ora tarda, la situazione temperatura sembra essere peggiore di prima, con le dita che si attaccano alla tastiera e le corde che diventano quasi viscide quando cambio la posizione della mano. L'arco praticamente mi scivola via dalle mani ad ogni movimento. Ma proseguo. Proseguo ancora. E ancora. E ancora. Sto morendo di caldo ma non voglio fermarmi, mi piace troppo quello che faccio e sono deciso a sopportare. D'un tratto sento un flebile ticchettare. Un'altra goccia cade sul pavimento. È di colore ocra, tendente al rosso. Guardo meglio verso il basso e sono avvolto dal panico. Completamente. Inizia a pulsarmi la testa. C'è il violoncello che si sta sfogliando. Lentamente, come fossero gocce di sangue molto viscoso, rivoli di vernice del mio povero strumento stanno colando sul pavimento ligneo. E poi, d'improvviso, si staccano dei pezzi della cassa. Come un puzzle, si sta sfaldando dal ponte in giù in numerosi fogli di scottecs che iniziano a planare leggeri sul pavimento della stanza. Sono disperato. Come ho fatto a non rendermi conto che fra caldo e troppo suonare avevo sciolto il mio violoncello? Ma come è stato possibile? In un momento di razionalità decido che devo raffreddare quello che resta del mio amato strumento, devo salvarlo. Devo portarlo in un posto fresco, dove non si sciolga ancora di più. Corro nella stanza del mio coinquilino, più in fretta che posso apro la portafinestra che dà sul balcone e appoggio il violoncello sul pavimento. "Tanto fuori è sicuramente più fresco che dentro!" mi dico. Rientro e prendo il telefono. Ora l'unico modo per risolvere la questione è chiamare il liutaio. Ma come si chiamava? Come si chiamava! Per Dio, non mi viene in mente! Ah sì, Gianmaria! Che sciocco che sono! Apro la rubrica e inizio a scrivere il suo nome per cercare il contatto giusto. Non risulta nessuno. Guardo cosa ho scritto: c'è un errore! Cancello tutto e riscrivo il nome. Altro errore. Continuo così, a sbagliate e cancellare per altre dieci, venti volte. Mi sembra un nome così difficile, ma proprio così tanto difficile da scrivere… La disperazione prende il sopravvento su tutto e desisto dal cercare di chiamare il liutaio. È chiaro che non ce la posso fare. Ormai non vedo altra sponda di salvezza. Sono talmente  disperato che inizio a chiamare la mia mamma. La sto chiamando, sto urlando il suo nome, fortissimo, quasi singhiozzando.
Apro gli occhi mentre la chiamo ancora una volta. È buio, ma come un grillo mi alzo di scatto e accendendo la luce corro alla custodia a controllare. Tutto intero! Guardo l'orologio, sono le tre del mattino. Mannaggia! Questo maledetto caldo da incubo li fa venire per davvero gli incubi! Ora sono tranquillo, sapendo che il mio violoncello sta bene. Mi resta solo da sperare di non aver svegliato i miei due coinquilini! Vado in cucina a bere un po' d'acqua. Puntualmente, come ormai da più di una settimana esce a temperatura prossima all'ebollizione anche col miscelatore girato alla temperatura minima. Con una smorfia bevo non proprio soddisfatto e mi rimetto nel letto ormai calmo. Mi aspettano giorni pieni di musica, questa volta per davvero.

Mitja Liboni

Commenti

  1. Incubi da troppo amore... Magnifico (ma sono di parte)

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  2. Bravo Mitja, non solo a suonare il tuo amato violoncello, ma anche a usare la parola, cantata e scritta. Complimenti.

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